Questo settembre è arrivato con un’aria insolita, più fredda, come se avesse fretta di voltare pagina. A Forte dei Marmi, la spiaggia si è fatta di colpo silenziosa, trattenendo l’eco di un’estate che non ha avuto il tempo di congedarsi davvero.
Scatto questa foto e sento che non sto solo osservando una scena: la sto attraversando.
Il cielo è basso, denso, una coperta di nubi che schiaccia la linea dell’orizzonte. Il mare e il cielo si fondono in un’unica sfumatura di blu e grigio, e io mi perdo in quel confine incerto, come quando non sai se sei ancora in un ricordo o già in un pensiero che sta nascendo.
Al centro, la torretta bianca del bagnino sembra un punto fermo nel paesaggio che cambia. Immobile, geometrica, quasi solenne. Un presidio umano in una spiaggia che si svuota, dove tutto si fa essenziale e restano solo poche tracce d’estate, sospese tra ciò che è stato e ciò che deve ancora accadere.
Ai suoi piedi, il patino. Rosso, stanco, in attesa. È lì come un sopravvissuto, testimone silenzioso di giornate piene di sole e di voci. Ora è fermo sulla sabbia come un oggetto dimenticato, ma ancora carico di significati. È più di una barca. È una memoria visibile. Una parentesi aperta tra le onde.
Solo le bandiere, rossa e gialla, animano la quiete, in contrasto con la calma del paesaggio. Ma proprio per questo attirano lo sguardo. Ricordano che, anche nella stasi, c’è vita. Che il mare non dorme mai del tutto. Che esiste un’attenzione anche quando tutto sembra rallentare.
La battigia è vuota. Nessun castello di sabbia, nessuna corsa, nessun rumore. Solo l’attesa. È come se la spiaggia si fosse messa in ascolto. E io con lei.

Riflessioni in riva al mare
Ci sono momenti che sembrano parlare di noi, pur senza nominarci. Questo è uno di quelli.
La spiaggia in transizione diventa uno specchio, e mi chiedo cosa sto lasciando andare con l’estate, cosa sono pronta ad accogliere con l’autunno
La fotografia non risponde. Fa domande. E io le accolgo.
Mi mostra la bellezza delle soglie, dei momenti sospesi. Di quel tratto di tempo in cui tutto può ancora accadere.
Il patino, lì fermo, diventa un simbolo. Non solo della Versilia, ma di ogni cosa che resiste. Una forma che resta, anche se tutto intorno muta. È la memoria delle mani che l’hanno spinto in acqua, delle risate sopra la sua tavola, dei ritorni a riva al tramonto.
E ora, nel silenzio, continua a raccontare. Non smette. Solo, lo fa sottovoce.
Accanto a lui, la torretta. Insieme sembrano due guardiani. Vegliano su questa spiaggia addormentata, su questo tempo che si ritira come la marea.
C’è una continuità profonda in questa scena, una ciclicità che rassicura. Tutto passa, ma qualcosa resta.
E forse è proprio questo che porto via con me: l’idea che, come il mare, anche noi possiamo accogliere ogni stagione della vita. Lasciarla andare, e poi ricominciare.
