La festa mancata
Il cuore della festa era già passato. Il 27 ottobre.
Ce lo disse una guida locale, in un ristorante di Río Lagartos, alle 14:10. Un pranzo leggero, profumi intensi, qualche risata. Poi, la rivelazione. Un colpo garbato ma preciso, capace di spostare l’asse dell’intero viaggio.
Ci guardammo in silenzio. Nessuna disse nulla, ma tutte sapevamo: avevamo perso il fulcro, il cuore pulsante della nostra partenza.
Un errore lieve, quasi ingenuo, ma sufficiente a cambiare il corso delle cose. Un piano costruito con entusiasmo e un pizzico di leggerezza, sgretolato davanti a un calendario sfalsato.
E proprio lì, tra le crepe del programma saltato, si fece spazio la meraviglia.
Non era il luogo a essere sbagliato, né il desiderio di esserci. Era il tempo. Ma in viaggio, il tempo è spesso più relativo di quanto immaginiamo.
Il giorno dei morti
Avevamo immaginato il Día de los Muertos come una grande festa collettiva, il 2 novembre, come in Italia.
Avevamo letto di altari, calaveras colorate, parate in onore delle anime. Tutto ruotava intorno a Mérida, nello Yucatán, con il suo celebre Festival de las Ánimas. Lì volevamo essere. Lì dovevamo essere.
Eravamo in undici: dieci donne e un accompagnatore.
Tra noi, una ragazza esperta di trucco cinematografico, pronta a trasformarci in creature sospese tra due mondi.
Avevamo abiti a tema, fiori di stoffa, sogni impacchettati con cura tra le pieghe dei vestiti.
Per alcune era un lusso concesso a fatica, per altre un sogno atteso da anni.
Tra le mani vuote, spazio per l’inaspettato
Quel momento divise il viaggio in due. Prima e dopo. Ma il dopo non fu vuoto. Fu diverso.
La delusione si fece compagna di strada, discreta ma presente. L’energia del gruppo si abbassò, come se il sole avesse smesso di scaldare.
Eppure, qualcosa si muoveva ancora sotto la cenere.
Quando, quasi per caso, ci dirigemmo verso San Felipe, nessuna si aspettava nulla. Era solo una deviazione. Una parentesi.
Ma lì, in quella piazza raccolta, qualcosa iniziò a cambiare. Altari semplici, bambini truccati con cura, un cane paziente accanto al suo compagno di giochi.
Sguardi che ci incontravano senza diffidenza. Volti che si donavano ai nostri obiettivi con fierezza.
Non sapevamo di essere finite dentro una festa vera, una celebrazione autentica, nata dal basso.
Quella sera, San Felipe avrebbe ospitato, per la prima volta, una sua Parata de las Ánimas e, a seguire, l’elezione delle Catrinas più belle.
Un dono, senza che l’avessimo chiesto.
Il mare come processione
Il Paseo de las Ánimas, ci dissero, non avrebbe attraversato le strade. Avrebbe solcato le acque.
Una processione di barche illuminate, anime galleggianti in un mare calmo e scuro.
Salimmo senza pensarci troppo. Su pescherecci addobbati, tra bambini sorridenti e Catrinas con abiti sontuosi, seguimmo la scia delle luci.
Fotografavamo, ma non solo con la macchina. Fotografavamo con gli occhi, con il cuore.
Alla fine del corteo, senza che nessuno lo suggerisse, nacque un set fotografico spontaneo.
Una fila ordinata di figure vestite di festa, che si offrivano al nostro sguardo come se il nostro interesse fosse un riconoscimento.
In quel momento, tutto ebbe senso. L’errore, il disguido, il mancato appuntamento con Mérida.
Ci eravamo trovate lì, nel posto giusto, al momento giusto. E lo sapevamo.
Uno spettacolo senza sipario
San Felipe non aveva luci di scena, né musiche roboanti. Aveva la sua gente. Aveva la vita.
E quella vita si aprì a noi, con pudore e orgoglio.
Ci riconoscemmo, noi e loro, in uno scambio semplice e vero.
Noi con le nostre fotocamere, loro con la voglia timida di essere visti.
E ora, riguardando le immagini, non vedo solo costumi o colori. Vedo l’incontro.
Vedo la bellezza che nasce quando lasci spazio all’imprevisto.
Il viaggio che volevamo è sfumato.
Quello che abbiamo vissuto, invece, è diventato indimenticabile.




















